Roccopolipo é un’idea rubata. Quando un’amico mi passò un suo biglietto da visita con scritto “Roccopolipo Poeta Parabolico”, mi innamorai subito di queste parole. Ero molto in crisi in quel periodo: il lavoro assorbiva tutte le mie energie. Avevo cambiato città, ero stato promosso a un ruolo di maggior responsabilità ed ero molto stressato. Vivevo una vita a una dimensione, sempre in giacca e cravatta, sempre preoccupato di commettere errori. E così pensai che Roccopolipo rappresentava una parte di me che era castrata. Nascosta e repressa dentro un grottesco individuo incastrato in una catena di comando simile al pesce intermedio che mangia quello più piccolo ma é mangiato da quello che sta sopra. E sempre quello che stava sopra aveva i denti più aguzzi.
A volte il “Roccopolipo” nascosto aveva un’ora di sole e usciva a guardarmi. Vedeva questo piccolo uomo di legno che non rideva e sognava poco. Era triste e temeva che non si sarebbe mai liberato.
Poi è arrivata, fortunatamente in anticipo, la pensione e Roccopolipo ha preso il sopravvento: mi ha proibito di rimpiangere la vita che avevo lasciato, di guardare i cantieri e mi ha imposto di lasciare Milano e di recuperare le vecchie amicizie. Poi si é scatenato.